Università fuori dal diritto amministrativo.
Le università oggi sono realtà di mercato.
Che non significa affatto che debbano rispondere ad aziende private o, necessariamente, alle necessità del mercato dei beni, dei servizi o persino del lavoro. Significa semplicemente che le università oggi hanno a che fare con dinamiche di domanda e offerta (di studenti, di professori, di pubblicazioni, di fondi di ricerca), su base internazionale e in un contesto competitivo.
Se è così allora, non possono essere regolate da una infrastruttura giuridica – il diritto amministrativo – che serve, per definizione, a regolare realtà non-di-mercato.
Assumere un giovane professore capace di competere sul mercato mondiale della ricerca e della didattica, infatti, non può seguire le stesse procedure che si usano per assumere un agente di polizia municipale o un geometra in un comune. E questo non certo per istituire inesistenti gerarchie di importanza tra queste figure, ma per un motivo molto più semplice: i geometri o gli agenti di pulizia municipale hanno funzioni di regolamentazione pubblica e non competono sul mercato, mentre i professori universitari si.
Gli atenei, invece, devono essere liberati dall’oppressione burocratica ed essere nelle reali condizioni di poter far emergere e coltivare i talenti, lontani dall’appiattimento che troppo spesso caratterizza la pubblica amministrazione.
Allora la soluzione è semplice:
trasformare gli atenei in fondazioni di diritto privato a capitale interamente pubblico (come in Gran Bretagna e persino alcuni dei migliori atenei USA). Facendo uscire le università dalla gabbia del diritto amministrativo (e dalla burocrazia della pubblica amministrazione), ma salvaguardando al contempo la presenza pubblica, si consentirà di poter competere sul mercato al meglio delle proprie potenzialità.